Il Catenaccio: come è nato, chi ne sono stati gli interpreti, perchè è osteggiato

Il Catenaccio, uno schema di gioco associato all’Italia, e letto sempre in chiave negativa.

Catenaccio è sinonimo di “non gioco”, ostruzionismo, uno schieramento che punta a difendersi senza attaccare (termine tra l’altro usato ormai non solo nel calcio, ma anche nella vita quotidiana, “fare catenaccio”).

E’ veramente così? Il Catenaccio può avere anche un’accezione positiva? E soprattutto, come è nato il Catenaccio?

Il primo Catenaccio di Rappan

Si inizia ad usare la parola Catenaccio nel calcio negli anni Trenta, ma questo schema di gioco non nasce in Italia, bensì in Svizzera. E’ un tecnico austriaco, Karl Rappan, che allena la nazionale elvetica ad utilizzare per la prima volta il “Verrou” (chiavistello o catenaccio appunto), uno schema che arretra una mezzala in difesa, in modo da contrastare al meglio il sistema WM, il più in voga all’epoca.

Con il Catenaccio la Svizzera nel 1938 migliora nettamente da un punto di vista difensivo, e ai Mondiali francesi gli elvetici battono la Germania- che politicamente ha appena annesso anche l’Austria, usufruendo così dei suoi fortissimi calciatori- e viene battuta solo dall’Ungheria nella rassegna iridata.

Il Catenaccio comincia così ad essere utilizzato dalle squadre meno forti, che non vogliono affrontare le compagini tecnicamente più dotate a viso aperto, ma preferiscono utilizzare un sistema che prediliga la fase difensiva, per poi ripartire in contropiede.

La via italiana al Catenaccio

In Italia si inizia a parlare di Catenaccio dopo la Seconda guerra mondiale. E’ Gipo Viani, allora allenatore della Salernitana, a raccontare una storia al riguardo, non si sa quanto romanzata.

Si dice che Viani passeggiando alla mattina al porto, notò le barche dei pescatori che tornavano dopo la pesca notturna. Ogni peschereccio aveva una prima rete che aveva catturato il pesce, ma sotto anche una seconda rete, per riuscire a trattenere tutto ciò che cadeva fuori dalla prima rete. Viani associò subito questa visione al calcio, e pensò che la difesa della sua Salernitana avrebbe dovuto avere una seconda linea difensiva, per poter così bloccare gli attaccanti che fossero riusciti a passare la prima linea di difensori.

Si cominciò così a parlare di “battitore libero”, cioè quel giocatore che stava dietro la linea a tre di difesa, e che si occupava di liberare l’area in qualsiasi maniera.

In breve tempo, il Catenaccio fu adottato anche dalle grandi squadre in Italia, con l’Inter di Alfredo Foni che costruì una vera e propria fortezza davanti alla porta. Il libero dell’Inter era Ivano Blason, che si diceva tirasse una linea davanti alla sua difesa, e gli attaccanti non avrebbero dovuto/potuto superare quella linea, pena la loro incolumità.

L’Inter vinse lo scudetto 1952/53 segnando appena 46 reti in 34 partite, in un periodo in cui chi vinceva il campionato ne segnava più di 100 a stagione, ma subendone solo 24, così che da quel momento per vincere la Serie A divenne più importante non prendere gol rispetto a segnarne a caterve. I nerazzurri vinsero 8 partite per 1-0 e impattarono 5 volte per 0-0, dando sempre l’impressione di grande solidità difensiva.

Il Milan di Rocco e l’Inter di Herrera

Il Catenaccio divenne sempre più diffuso in Italia, e Gianni Brera ne fu il principale sostenitore e divulgatore. Secondo Brera, l’atleta italiano morfologicamente non era fatto per un gioco dispendioso di attacco sfruttando grandi doti atletiche, ma avremmo dovuto utilizzare nel calcio un sistema difensivo, pronti poi a colpire l’avversario nel momento più opportuno.

Nereo Rocco perfezionò il Catenaccio come allenatore del Padova, ma fu con il Milan che ottenne successi in patria e vinse due Coppe dei Campioni- nella seconda a Madrid contro l’Ajax nel 1969 a dir la verità schierò 5 attaccanti.

Chi però incarnò al meglio l’idea di Catenaccio fu Helenio Herrera con la Grande Inter degli anni Sessanta.

Il libero era Picchi, che si schierava qualche metro dietro rispetto a Guarneri, e l’Inter era sempre pronta a chiudersi a riccio, per poi ripartire con contropiedi micidiali grazie a giocatori come Mazzola, Jair e Suarez.

I nerazzurri dominarono in Italia nei primi anni Sessanta, e vinsero due Coppe dei Campioni consecutive nel 1964 e 1965, perdendo quella del 1967 contro il Celtic.

Il Catenaccio nel corso degli anni si è poi evoluto, ma anche oggi non è certo sparito, e rimane una tattica utilizzata spesso quando in campo c’è una sproporzione di valori fra le de contendenti.

Un esempio recente è stata la Grecia di Otto Rehhagel, che ha vinto l’Europeo nel 2004, ma anche l’Atletico Madrid di Diego Simeone non disdegna di chiudersi a testuggine per ripartire quando è necessario, come si è visto nella partita di andata dei quarti di finale di Champions League della passata stagione contro il Manchester City di Guardiola.

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