Come dicevamo, Herbert Chapman è stato un vero innovatore del calcio prima della Seconda guerra mondiale, ma dopo il 1945 ce ne furono molti altri, e alcuni di questi allenatori fecero la storia anche in Italia.
Uno di questi tecnici cha ha cambiato il modo di vedere, ma anche interpretare il calcio, è stato Helenio Herrera, che ha portato l’Inter di Angelo Moratti in cima al mondo, e viene considerato uno dei maestri del “catenaccio”.
Gli inizi del catenaccio
Il vero padre del catenaccio viene ritenuto l’austriaco Karl Rappan, che alla guida della nazionale svizzera negli anni Trenta del secolo scorso introdusse il “verrou”, cioè un sistema difensivo atto a contrastare gli attacchi da cento e più gol delle grandi squadre dell’epoca.
Rappan non fece altro che arretrare le due ali sulla linea della difesa, così che nella linea dei centrali della retroguardia sarebbe avanzato un uomo, che avrebbe agito da “libero” alle spalle dei compagni di reparto.
In questo modo la difesa risultava protetta a doppia mandata, così che se la prima linea di difensori veniva superata, c’era sempre un giocatore pronto ad opporsi all’attacco avversario.
Nel dopoguerra altri allenatori ripresero i concetti espressi da Rappan, e in Italia il primo fu Gipo Viani, che alla guida della Salernitana fu il primo nel nostro paese a parlare apertamente di catenaccio.
Il catenaccio di Herrera
Helenio Herrera viene considerato un personaggio istrionico. Nato a Buenos Aires ma di nazionalità francese e cresciuto in Marocco, ottenne i primi successi da allenatore alla guida del Barcellona, ma fu in Serie A che la sua carriera esplose definitivamente.
A chiamarlo fu Angelo Moratti nel 1960, stufo di continuare ad investire nell’Inter senza mai ottenere la vittoria dello scudetto.
In Italia Herrera venne soprannominato “il Mago”, sia per le sue innovazioni tattiche, sia per il suo modo di approcciarsi alla partita, fatto di slogan atti a motivare i giocatori, e con affermazioni a volte usate per irritare gli avversari.
HH, come venne soprannominato dal grande Giani Brera, con l’Inter vinse gli scudetti nel 1963, 1965 e 1966, perdendo quello del 1964 contro il Bologna, nell’unico spareggio mai disputato nella storia del calcio italiano. In più, portò anche la gloria internazionale ai nerazzurri, con le Coppe dei Campioni vinte nel 1964 contro il grande Real Madrid, e nel 1965 con il Benfica, a cui si aggiunsero due Coppe Intercontinentali nel 1964 e 1965 (entrambe vinte contro gli argentini dell’Independiente).
L’Inter di Herrera giocava con Armando Picchi davanti alla difesa, nella posizione del libero, e con Giacinto Facchetti terzino sinistro, libero di avanzare e di attaccare. Era importante poi il ruolo di Luisito Suarez davanti alla difesa, come anche quello di Sandro Mazzola, che fungeva da raccordo fra centrocampo e attacco, con Milani che operava da unica punta. A questi poi vanno aggiunti Jair e Mariolino Corso, giocatori di talento e con un’estrosità che non sempre andava a genio ad Herrera.
Dopo il periodo con la Grande Inter, Herrera in Italia guiderà anche la Roma e tornerà nella Milano nerazzurra nella stagione 1973/74, ma non riuscirà più a tornare ai fasti di un tempo. HH muore a Venezia, dove aveva ormai stabilito la sua residenza, il 9 novembre 1997.